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Louise Glück è la poetessa americana designata per il Premio Nobel della letteratura. In Italia è nota a pochi intimi. Nonostante abbia pubblicato oltre una decina di raccolte di poesia e qualche saggio sulla poesia, abbia vinto molti premi tra cui il Pulitzer, è scarsamente tradotta in italiano e nulla si trova sugli scaffali delle librerie italiane (Amazon compreso).
Con qualche difficoltà si può trovare “Averno”, raccolta tradotta da Massimo Bacigalupo per la Libreria Dante & Descartes, mentre il testo con cui ha vinto il Pulitzer nel 1993, “L’iris selvatico”, tradotta da Massimo Bacigalupo, non è rinvenibile.
Se i giurati del Nobel dovessero rivolgere lo sguardo alla produzione degli autori italiani si potrebbero accorgere che la poesia della Glück è sicuramente interessante poiché “indimenticabile voce poetica che con austera bellezza sa rendere universale l’esistenza individuale” (così dichiara la motivazione ufficiale), poiché è ben tradotta in svedese, e che i suoi testi sono sulla linea del “filo narrativo” dei pensierini di filosofia popolare.
I giurati del Nobel si sarebbero accorti che la produzione delle opere letterarie in lingua italiana (poco tradotte in svedese e in inglese) è di ben altro spessore. E per non rimanere sul generico potremmo suggerire (come abbiamo già fatto) nomi di scrittori quali Claudio Magris, Dacia Maraini, Melania Mazzucco, Elio Pecora, Patrizia Valduga.
Il problema è che gli autori (gli editori) italiani non investono in traduzioni, non in inglese e tantomeno in svedese, come si converrebbe a chi volesse ambire al Premio Nobel.
@Illustrazione Nillas Eimehed/Nobel Prize